60° anniversario della Dichiarazione di Schuman (9 maggio1950 – 9 maggio 2010)

Abbiamo appena festeggiato un grande anniversario: 60 anni fa, il 9 maggio del 1950, il ministro francese degli affari esteri, Robert SCHUMAN, invitava il cancelliere tedesco Konrad ADENAUER a fondare con la Francia la Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Questa data segna l’inizio del processo di integrazione  europea.

Rendiamo omaggio a questi due uomini di Stato che, a solo cinque anni dalla resa finale a Berlino del potere nazista, su di un continente ancora martoriato dalle profonde ferite della guerra, furono così  coraggiosi e profetici da chiudere la pagina di molti secoli di scontri e porre le fondamenta di una nuova Europa della pace e della cooperazione.

Guardando oggi all’Unione europea, con la crisi greca e lo smarrimento crescente, ci si chiede cosa penserebbero SCHUMAN e ADENAUER se fossero tra noi.

Immaginiamo per un istante la loro sorpresa.

– Alla loro morte, rispettivamente il 1963 e il 1967, lasciavano una «Comunità economica europea» di 6 paesi e circa 150 milioni di abitanti. Troverebbero ora una «Unione europea» di 28 Stati  e 500 milioni di cittadini che includono il Regno unito, una Germania riunificata, le ex vecchie dittature di Franco e Salazar (Spagna e Portogallo), tre repubbliche baltiche ex sovietiche (Estonia, Lettonia, Lituania), un’antica repubblica iugoslava (Slovenia), cinque ex ‘paesi fratelli’ dell’ex URSS (Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania e Cecoslovacchia, oggi divisa in Repubblica ceca e Slovacchia) e Stati tradizionalmente neutri come la Svezia, l’Austria e la Finlandia. Affascinante percorso della storia!

– Altra sorpresa: la bandiera blu con 12 stelle sventola su quasi tutti gli edifici pubblici e l’Europa ha ora un presidente, un belga che si chiama Herman VAN ROMPUY. Ha pochi poteri e non è molto carismatico ma inaugura la funzione di ‘Capo di Stato’ europeo con saggezze e prudenza, cercando di dare contenuti alla sua funzione.

– Il Parlamento europeo, un tempo sbiadito organismo consultivo, si è trasformato in una assemblea eletta direttamente dai cittadini europei che co-legifera sulla maggior parte dei settori con il Consiglio, che rappresenta gli Stati membri, un tempo dotato di pieni poteri.

– La Commissione, esecutivo dell’Unione (il governo europeo, in qualche modo), è politicamente responsabile davanti al Parlamento:  il suo presidente, attualmente José Manuel BARROSO, è infatti eletto dal Parlamento. La Commissione gestisce un budget di 140 miliardi di euro ed elabora le politiche europee in numerosi ambiti.

– L’UE ha formulato un cospicuo corpus di legislazioni comuni  (12.500 testi) e 16 paesi condividono la stessa moneta, chiamata euro (€uro).

– Le frontiere non ci sono più a dividere la maggior parte degli Stati membri, i cittadini possono spostarsi liberamente e risiedere dove decidono. Ormai molti giovani parlano una seconda lingua e viaggiano in Europa grazie a programmi  chiamati ‘Erasmus’ e … ‘Schuman’. Molti si sentono Europei.

Straordinario bilancio, in soli sei decenni, dopo tanto di  nazionalismo e di conflitti.

Ma cosa accade dunque ora? Perché un vento di euro-scetticismo soffia sul continente?

Più cause vi concorrono:

– i danni della mondializzazione e della crisi economica che l’Europa non sembra in grado di prevenire o contrastare;

– la crisi greca che fa tremare l’euro;

– l’allargamento realizzato troppo in fretta, a favore soprattutto di alcuni paesi che non erano pronti, come la Romania e la Bulgaria;

– l’incapacità dei dirigenti politici nazionali a sostenere il progetto europeo e la loro tendenza troppo frequente a difendere loro pezzetto di terra (e il metodo di decisione intergovernamentale) piuttosto che immaginare soluzioni comuni e farle mettere in opera dalla Commissione (il metodo di decisione comunitario); essi danno l’impressione di subire l’Europa piuttosto che costruirla; non  danno alcun contributo.

Eppure, in un mondo che si trasforma sotto i nostri occhi in un condominio cino-americano completato da grandi potenze regionali come l’India e il Brasile, non si vede come gli Stati europei possano  continuare ad esistere sulla scena internazionale senza essere uniti.

Non è di meno Europa ciò di cui abbiamo bisogno ma, al contrario, di più Europa: una governance economica europea, con veri strumenti di bilancio e finanziari per agire in caso di crisi – a questo proposito, la creazione di un Fondo monetario europeo è una idea interessante -; una politica comune sull’energia; una politica industriale forte; un più grande coordinamento in materia di fiscalità e di ricerca; una vera vita politica europea, infine, piuttosto che un dibattito politico focalizzato sugli interessi nazionali, magari confiscati da essi.

Un punto è importante da sottolineare: la solidarietà è e deve restare un principio chiave della costruzione europea. Senza solidarietà, l’Europa non ha senso, non può esistere. È questo il motivo per cui l’Unione deve collocarsi risolutamente al fianco dei Greci in questo  periodo.

Ma questa solidarietà ha una contropartita: il rigore nella gestione della cosa pubblica, la ‘Res Publica’. Non si potrebbe accettare che uno Stato membro dell’Unione europea manipoli le cifre che  trasmette a Bruxelles e si possa dire soddisfatto da una pubblica amministrazione inefficace, indegna di una Democrazia europea del 21° secolo. Altrimenti, accadrà quanto si è già verificato : i paesi “più rigorosi” finiranno per rifiutarsi di pagare.

È tempo di armonizzare le amministrazioni pubbliche dall’alto a livello europeo. Noi chiediamo, a tale scopo, la creazione di un Osservatorio europeo delle funzioni pubbliche europee, nazionali e locali con l’incarico di analizzare i modi di funzionamento delle amministrazioni – soprattutto sugli aspetti della trasparenza, del  reclutamento, dell’efficacia, della neutralità, della probità – e di formulare  raccomandazioni pubbliche.

Questo asse di direzione non concerne solo, sia ben chiaro, la Grecia e certi Stati un tempo socialisti. C’è anche molto da dire sul  reclutamento e le pratiche di alcune amministrazioni dei vecchi Stati membri, soprattutto a livello locale.

“Roma non fu fatta in un giorno”. Ci vorrà del tempo per armonizzare dall’alto le amministrazioni pubbliche di 27 paesi con storie così diverse. Ma Roma non è stata fatta senza sforzi. Per avanzare, ci vuole un capo, una leadership, una volontà politica e molta costanza.

Non rinunciamo dunque mai, non lasciamoci contaminare dall’euro-scetticismo, conserviamo la fede nell’avvenire, nelle capacità e  volontà delle nuove generazioni. Esigiamo dai nostri governanti nazionali maggior audacia e un maggior impegno europeo.

Philippe Mazuel